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Primo marzo: un giorno senza immigrati
10. Monza che cambia
Umberto De Pace


un giorno senza

Venerdì sera, presso la sede della CGIL in via Aspromonte, si è tenuto il primo incontro pubblico sul tema: “Primo marzo: un giorno senza immigrati”. Pur con la neve, in molti hanno accolto l'invito; non solo cittadini monzesi, ma anche degli altri comuni della Brianza. La maggioranza dei presenti erano cittadini provenienti da tutti il mondo: Pakistan, Senegal, Equador, Egitto, Marocco, Tunisia, Ghana, Colombia e altri paesi ancora. Per lo più uomini e donne di mezza età.
Come spiega Sergio, uno dei promotori dell'incontro, l'intento è quello di capire se anche qui in Brianza c'è la volontà e l'interesse a formare un comitato operativo “primo marzo” che si occuperà di coordinare le diverse attività nell'ambito dell'iniziativa nazionale: “24 ore senza di Noi. La giornata senza immigrati. 1° marzo 2010”.

L'iniziativa è nata in Sicilia, dall'incontro fra quattro donne, due migranti e due locali, qualche mese fa, prima dei tragici fatti di Rosarno. Già allora avvertivano l'esigenza di porre fine agli stereotipi, alle falsità e alle discriminazioni montate ad arte, o per ignoranza, sulla pelle degli immigrati; cercando di rendere visibile l'immigrazione nella sua realtà fatta di famiglie, lavoro, affetti, sogni e desideri. Sono così riuscite a cogliere un malessere ben più vasto che serpeggia nel nostro paese e che accomuna cittadini immigrati e non. In poco tempo si è formato un Comitato nazionale, molteplici comitati locali ed è stato aperto un sito su internet (http://www.primomarzo2010.it) dove è possibile leggere il manifesto programmatico dell'iniziativa, che a sua volta si collega e si ispira a “La journée sans immigrés: 24h sans nou” – il movimento che in Francia sta organizzando uno sciopero degli immigrati per il prossimo primo marzo. Il colore di riferimento dell'iniziativa sarà il giallo: colore del cambiamento e della neutralità politica.
La risposta della Brianza non si fa pregare, innumerevoli sono stati gli interventi. Per Assad della Fillea CGIL, già solo il parlare dell'iniziativa è una cosa positiva, così come il nastro giallo è un bel segnale di riconoscimento. Occorre spiegare alla gente cosa fanno i 4 milioni di immigrati in Italia, raccontare del loro lavoro nelle fabbriche, nei cantieri, nei servizi e nelle famiglie. Ricordare a tutti che i lavoratori edili regolari sono il 50% circa degli occupati. Ma soprattutto - sottolinea Assad - gli immigrati devono impegnarsi di più in prima persona; per cambiare occorre lavorare tutti insieme. Propone infine una fiaccolata per il primo marzo.
Claudio del giornale on-line “La rivista che Vorrei” esprime l'adesione della redazione all'iniziativa, dichiarando la disponibilità del proprio sito a pubblicizzarla e divulgarla.
Saidou sostiene che il primo marzo deve essere un momento di partenza per un percorso continuativo e duraturo. Occorre lavorare per rompere la situazione creatasi all'interno della nostra società, dove i fatti di Rosarno rappresentano solo la punta di un iceberg. I conflitti si ripeteranno se non ci si alza tutti quanti in piedi per dire un forte NO. Invita a non mandare i propri figli a scuola il primo marzo e a scioperare.
Dal palco c'è chi sottolinea come sia importante denunciare i falsi luoghi comuni creatisi sul tema dell'immigrazione e fa presente che uno strumento potrebbe essere un opuscolo redatto dal PD: Mandiamoli a casa … i luoghi comuni” dove si “smontano” uno a uno i vari pregiudizi.
Per Luciana del dipartimento immigrati della CGIL gli immigrati devono essere visibili, nelle strade, nelle piazze e non solo nei luoghi di lavoro, o chiusi nelle loro case. Denuncia come a Cesano Maderno, 10 pattuglie dei Carabinieri si siano presentate alle 5 di mattina in 16 appartamenti di immigrati alla ricerca di clandestini, per poi trovare un permesso di soggiorno scaduto e un'altra irregolarità burocratica. Sostiene che di fronte a ciò dobbiamo indignarci, come non è possibile che il nostro parlamento nell'approvare, l'altro ieri, una legge comunitaria, stralci dalla stessa proprio quegli articoli a tutela dell'immigrazione e contro il lavoro nero.
Annalisa, ex assessore alla cultura, sostiene che sarebbe bello vedere il primo marzo tante donne immigrate con i loro bambini per le strade delle nostre città, ribadendo che l'immigrazione è un arricchimento culturale enorme per il nostro paese.
Alì dell'associazione “Amici insieme Marocco-Italia” si domanda: “Questo comitato quanto durerà?” – la sua risposta non lascia dubbi: “Questa è e deve essere solo la partenza!”. Invita tutte le comunità e le associazioni di immigrati presenti a incontrarsi fra di loro a discutere ed essere uniti.
Una rappresentante del CREI (Centro Risorse Educative Interculturali) spiega come la sua associazioni si occupi dell'accoglienza dei bambini stranieri nelle scuole, delle migliori opportunità di apprendimento che anche i bambini italiani hanno in una scuola multiculturale, dello stimolo per gli insegnanti a migliorare i propri programmi e strumenti educativi. “Come può essere che i bambini che nascono in Italia continuino ad essere considerati stranieri?” – Si domanda: “Quei bambini sono “nostri”, saranno i futuri cittadini in questo paese”. Propone un primo marzo anche davanti agli ospedali.
Rita, dal palco, per il sindacato auspica che il 1° marzo sia un giorno di dialogo con tutti, per sfatare i luoghi comuni, per ricordare che i cittadini immigrati hanno un tasso di occupazione più alto di quelli italiani, sia gli uomini che le donne; che pagano le tasse e le pensioni di cui, molti di loro non beneficeranno nemmeno; che sono i più esposti a infortuni sul lavoro; che molti di loro hanno titoli di studio, che non riescono ad utilizzare nel nostro paese.
I toni dell'assemblea si fanno più accesi quando Saidou dichiara che è stanco di dialogare. E'da vent'anni che è qui in Italia, ed è un animatore e formatore nelle scuole di ogni ordine e grado. Spiega come sia difficile spezzare questo clima di discriminazione che si è creato in questi anni nel nostro paese. Ribadisce che occorrono dei segnali forti, che devono partire direttamente dagli immigrati e che questi segnali forti devono non solo smuovere la gente, ma anche i partiti, i sindacati, da fuori e da dentro.
Marco, segretario monzese di Rifondazione Comunista, dopo aver dato l'adesione all'iniziativa ricorda come lo scrittore Saviano abbia più volte nei sui articoli ricordato al nostro paese come siano proprio gli immigrati ad essersi fatti carico in prima persona della denuncia e della lotta contro le organizzazioni criminali. Il suo partito, sostiene, sta combattendo da solo una battaglia contro la Lega Nord responsabile in primis dell'affossamento della democrazia. Infine propone che il primo marzo venga commemorata la morte di Rashid, il primo cittadino brianzolo morto sul lavoro quest'anno.
Isaq spiega il suo impegno e le mille difficoltà che deve affrontare per affermare i diritti della propria comunità pakistana: permessi di soggiorno scaduti con tempi lunghissimi per il rinnovo; uffici che rimandano all'infinito le pratiche; perquisizioni delle forze dell'ordine in casa di famiglie che da anni vivono in Brianza.
Adriana di Sinistra e Libertà ricorda le belle esperienze delle feste delle comunità di migranti presso il circolo Cattaneo e propone di caratterizzare il primo marzo anche con una partita a cricket, uno sport amato da molti immigrati, ma non praticabile qui a Monza.
Gli interventi si susseguono uno dietro l'altro come un fiume in piena, molti degli interventi sono di persone che per la prima volta parlano in pubblico. Un giovane pakistano, da pochi mesi in Italia, sale sul palco e parla in inglese, scusandosi di non potersi esprimere in italiano. Sul momento facce smarrite tra gli autoctoni, mentre fra gli immigrati di diverse nazionalità si coglie la maggior capacità di comprensione. Dal palco si provvede ad una sommaria traduzione. Sottolinea come, quando si arriva qui in Italia, si percepisce subito un maggiore distanza tra i locali e gli stranieri, così come la polizia è percepita più come un pericolo dagli immigrati, che una sicurezza, e soprattutto come possa molte volte operare senza mandato giudiziario. Denuncia come i mass-media, in gran parte, veicolino un messaggio negativo sugli immigrati e sostiene che occorre invece uno scambio culturale tra le persone.
Una donna egiziana sostiene che bisogna fare iniziative con i bambini all'interno delle scuole e soprattutto che bisogna continuare con questa esperienza e impegno, oltre il primo marzo.
Sarfras per il primo marzo invita gli immigrati ad uscire dalle proprie case, da quelle che definisce “gabbie”: “Noi immigrati molte volte abbiamo paura di parlare, di fare valere i nostri diritti e preferiamo stare zitti. Occorre invece reagire, soprattutto per i propri figli. Basta aspettare che siano gli altri a muoversi, gli immigrati devono farsi carico della questione in prima persona. E' una vergogna che i figli di immigrati possano prendere la cittadinanza solo dopo aver compiuto i 18 anni”. E' da 22 anni in Italia, ma si sente ancora straniero.
Anche Ashir, da vent'anni in Italia, concorda sul fatto che devono essere gli immigrati a portare avanti in prima persona il processo di integrazione, così come è d'accordo con Saidou e Alì che le diverse comunità debbano essere unite. Già vent'anni fa a Desio si diceva che gli immigrati portavano via il lavoro: “ … ed allora eravamo solo in 17!”. Occorre chiedere il diritto di voto. Dopo 10 anni in Italia aveva richiesto la cittadinanza, passarono più di 4 anni senza ricevere risposta.
Un giovane ghanese, anche lui preferisce esprimersi in inglese, spiega che la sua scelta di migrare cadde sull'Italia, perché sapeva che qui avevamo il Papa e quindi eravamo molto più vicini a Dio. Purtroppo ha dovuto scoprire che non era proprio così, né giù al Sud lavorando nell'agricoltura, né qui a Milano, dove le difficoltà e le condizioni di vita precarie sono le stesse. Proviene da un paese e un continente dove la democrazia è un concetto in gran parte sconosciuto, ma si rammarica di non averne trovato un grande esempio nel nostro paese. Infine denuncia le continue modifiche sulle leggi sull'immigrazione.
Una signora dell'Ecuador spiega come la sua comunità abbia trovato uno spazio di accoglienza presso la parrocchia di San Carlo, dove il parroco permette che si celebri la messa in spagnolo. Esprime anche il disagio che vive quotidianamente al lavoro per la chiara differenziazione tra immigrati e locali, e ricorda come molte volte il loro silenzio è dettato non dalla paura, ma dall'educazione. Occorre però imparare a rispondere e a farsi sentire. La sua comunità si unisce senz'altro all'iniziativa.
Anna ricorda come ci siano persone che da vent'anni vivono in Italia e non si sentano più né del loro paese, né italiani: “Per me sono italiani, pur mantenendo ognuno le proprie radici, come è giusto che sia. Il primo marzo mi vestirò tutta di giallo e quel giorno dobbiamo essere tutti insieme, immigrati e italiani”.
Altri vorrebbero intervenire ma è tardi. Dal palco Mauro della CGIL, riepiloga tutte le proposte fatte nel corso della serata, e Sergio tira le conclusioni, sottolineando come sia stata una serata positiva e partecipata. Nel corso della serata sono state raccolte le adesioni per il comitato promotore che, a partire dalla prossima settimana, inizierà a lavorare per la riuscita dell'iniziativa. Il prossimo appuntamento pubblico è previsto per metà febbraio.
E' quasi mezzanotte, fuori ha smesso di nevicare, una leggera coperta di neve copre la città. E' stata una bella serata, testimonianza importante per una città e un territorio che sta cambiando.

Umberto De Pace

Monza che cambia
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  1 febbraio 2010